testi critici

Chiesa di San Giovanni, 21020 Casciago (VA)
Dal 19 maggio al 22 giugno, 2024

  

Opere ed allestimenti di Daniele Di Luca.

La mostra è curata da Alessandra Poggianti, con suo testo critico nel catalogo in limited edition edito da TraRari TIPI Varese, ha la presentazione di Luca Traini e un’incursione di Debora Ferrari (fotografia di Giacomo Vanetti).

L'indugiare segna il ritmo del ritorno,
è casa
il fondo di ogni cosa,
non c’è nulla che è cercato.
Nessuno specchio,
di tutte le narrazioni
nessuna narrazione,
nessuna forma,
ma due rintocchi di un oscillare,
non un prima non un dopo,
uno stesso che oscilla in sé,
un eterno ritorno
un tempo che si fa spazio.

Daniele Di Luca

Il racconto del lavoro di Daniele Di Luca inizia dalla sua fine.
L’artista realizza le sue opere nella casa studio a Palermo e, solo quando il processo di produzione è finito, afferma: “E’ il momento di mostrarle”. Così Di Luca spiega quando può mettere in viaggio i suoi lavori ed è in quel momento che inizia un processo di sottrazione che prevede il disassemblaggio dei lavori e il percorso verso lo spazio deputato alla loro presentazione. Lo smontaggio delle opere nello studio e la loro ricollocazione nello spazio espositivo non è semplice allestimento, ma assume un carattere ritualistico in cui i lavori entrano in dialogo con lo spazio, completandosi. Nella processualità dell’allestimento vengono inclusi elementi che l’artista recupera dal luogo e si intrecciano alla sua storia personale. Assi e vecchi elementi edili appartenenti alla sua famiglia incontrano nuove forme, nuove sostanze. 

E’ in uno spazio che per sua natura ha accolto riti e creato comunità, una chiesa romanica di Casciago in provincia di Varese, che nasce il nuovo progetto espositivo di Daniele Di Luca: Nessuna forma, nessuna sostanza.
Qui le opere creano nuovi itinerari che, anche se in completa sintonia con lo spazio-chiesa, non sono verticali, quindi ascensionali, piuttosto rizomatosi e per questo si espandono in superficie e, come radici, si muovono e si organizzano senza gerarchie, in orizzontale, con una naturale predisposizione a collegarsi al tutto.
In questo senso ogni visitatore sceglie il proprio percorso visivo e la chiesa sconsacrata accoglie oggetti aperti a fruizioni personali e inaspettate contemplazioni, perché la contemplazione è “il primo rapporto liberale con l’universo che lo circonda” (F. Schiller, L’educazione estetica, Lettera XXV, 1795. Aesthetica edizioni, 2020).

In questi spazi di libertà non importa rintracciare un significato determinato, piuttosto cercare di entrare nella logica di una metodologia di lavoro in cui ogni opera si fa veicolo di nuovi personali campi simbolici, rassicurati dalla ricorrenza del colore giallo e bianco metafora della luce, gialla preziosa e bianca astratta.

Nessuna forma, Nessuna Sostanza.

E’ così che il giallo appare tra il bianco che si fa pensiero in “Rumore bianco” (2020), un polittico composto da una sequenza di 5 acrilici, 5 frame in cui l’occhio può abbandonarsi alla forma che appare, accogliendo quel gioco percettivo silenzioso e non chiudibile in un unico concetto. Gli elementi sono privi di correlazione e si disvelano lentamente: una croce. O tesseratto, quattro raggi che si immergono in quattro e più dimensioni, ipercubo che sopraeleva dalla realtà ed accogliere la “Mensa della mosca” (2022). La scultura monolitica è stata pensata durante una passeggiata sull’Etna in cui l'artista, preso da un attacco di fame, mangia una mela e getta le bucce in terra che vengono prontamente mangiate da un nugolo di mosche. Un rito necessario quello del cibo che connette atavicamente tutti gli esseri viventi che ugualmente nascono, respirano e si nutrono. Qui la mensa imbandita con polvere di zucchero fa del cibo non più un confine tra sé e l’esterno, piuttosto un mezzo che ci proietta oltre il piano terreno, verso una quarta dimensione, verso nuove dimensioni spazio-temporali. E quando il tempo si fa spazio, emerge l’eterno. 

Così l’opera “Pendolo inverso” (2023) gioca con le due dimensioni creando una virtuosa sospensione, un equilibrio dove eventi e cronologie si sospendono. Le oscillazioni dell’essere e del suo apparire lasciano spazio a una fioritura. O una doppia fioritura che si manifesta sul filo dell’orizzonte tracciato in “Linea Passiva” (2022), una barra flettente e riflettente che ci suggerisce di depotenziare la volontà e porsi semplicemente di fronte a ciò che appare, a quel lento disvelarsi della gioia o di una fioritura fatta da mani di esperti cesellatori, abili artigiani di cui l’artista si avvale per riportare ad una dimensione comune quello che sfugge e semplicemente è. Così come nella leggenda in cui Buddha si sedette davanti all’assemblea di diecimila monaci, ma non disse nulla; sorridendo teneva un fiore in mano e lo mostrava. Solo una persona capì quello che il Buddha stava facendo e gli sorrise. Ed avvenne così la trasmigrazione della conoscenza, senza parole o concetti. 

Ed il fiore silente si fa, così, simbolo dell'apparire di tutte le cose che appaiono. 

E quando queste non appaiono più, cioè escono dall’apparire, cosa succede?

“Cielo, dicci tu che ne è del sole che è tramontato, diccelo in base alle tue capacità”, cosa potrebbe dire il cielo? Che ne sa, il cielo in quanto cielo, che ne è del sole che è uscito da esso? Potrebbe dire il cielo: “Io sono autorizzato a sapere quale sorte ha avuto ciò che ormai non appartiene più al mio aprirmi e a costituire lo spazio della visibilità’?“

Le domande che pone Emanuele Severino, filosofo caro a Di Luca, al giornalista Davide di Alessandro (Il Foglio, 08.10.2018) possono funzionare da risposta. E qui l’artista prosegue il ragionamento e propone una sua personale continuazione, con “I termini del mondo. La gentilezza del colore. Due monocromi per il nulla” (2024), dove il bianco è sfondo e lo spazio vuoto e il vuoto è contenuto nei 12 cm che separano il vetro dal quadro monocromo. Lì, spiega l’artista “ogni cosa è presente, per determinare l’assenza del segno e manifestare il sacro nulla (...). Partendo dal nulla che non esiste, mi sono domandato quando il nulla si manifesta, una scultura che fa emergere il nulla”. La risposta si trova nel monocromo su cui è stato messo un filtro, un vetro sabbiato, che chiede alle persone di cercare qualcosa, ma non ci si riesce, non emerge niente, ma il nulla si fa esperienza estetica: “Custodire il vuoto” (2023). La scultura composta da quattro sottili barre di ottone racchiude un'assenza. Qui le fioriture sono accennate, più silenziose, si lasciano coinvolgere nella presa di cura di una assenza, del vuoto, perché “nella mancanza dell'oggetto - spiega l’artista- l’azione resta nuda in un perpetuarsi incessante, nulla può interferire con il suo essere sé”. La paura del vuoto del Mondo Occidentale legato alla forma, alla materialità, all’ego, all’illusione qui si sciolgono sotto il peso del  “nulla” che fa flettere la assi portanti della scultura. L’esperienza diventa estatica. 

Con un atteggiamento olistico in cui ogni essere vivente può trovare una propria luce interiore, si può risvegliare e riconoscere in quel vuoto una illuminazione: “La gloria” (2022). Nel grande monocromo giallo, un quadrato di 2 metri, l’artista apre un infinito campo dove si estende la totalità del possibile; la sovrapposizione delle velature di giallo su giallo ci disvela una X, ma non rappresenta è piuttosto una incognita che ci indirizza verso una nuova consapevolezza. Nel contemplare “La gloria” si alza il velo di Maya e si disvela ciò che c’è oltre la pura realtà sensibile. E’ solo in questo momento che si possono percepire gli opposti, non come polarizzazione della realtà, piuttosto come sintesi del tutto. Gli opposti ci illuminano, non ci separano, piuttosto ci completano, connettendosi con l’altro da noi, ci fanno sentire parte di un tutto. Ci liberano.

Nessuna forma, Nessuna sostanza.

Postilla

Nel testo ho seguito un percorso di lettura delle opere personale e immaginifico che alla fine mi sono resa conto essere ascetico, un ascetismo alla Hugo Ball, un tentativo di scomporre il linguaggio dominante come segno di protesta contro le “altisonanti parole” dei governi bellicosi e la logica dominante che conducono entrambi gli artisti alla scompaginazione anarchica delle regole della sintassi. L’arte del ridurre e del sottrarre fanno parte della stessa ricerca di una libertà interiore in cui non c’è  differenza tra asceta, esteta e rivoluzionario.

 

Alessandra Poggianti,
Maggio 2024

[Curatrice indipendente e codirettrice di Kunstverein Milano; fa parte del board di Carico Massimo]

NESSUN TESTO
Intro con e senza duzione alle opere di Daniele Di Luca

Indifferente è per me il punto da cui devo prendere le mosse;
là infatti nuovamente dovrò fare ritorno.
Parmenide, Sulla natura

L'apparire dell'essente è l'apparire della totalità degli enti che appaiono. Le parti sono un molteplice.
L'apparire di una parte è la relazione dell'apparire trascendentale a una parte di tale totalità.
Emanuele Severino, Fondamento della contraddizione

Possiamo definire i rituali come tecniche simboliche per sentirsi a casa nel mondo.
Trasformano l'essere a casa nell'essere nel mondo. Trasformano il mondo in un luogo affidabile.
Stanno al tempo come una casa sta allo spazio. Rendono il tempo abitabile.
Byung-Chul Han, La scomparsa dei riti


La pagina bianca è dell’artista. Lo scrittore vi fa ritorno dopo aver visto il metodo della sua arte, il cammino attraverso e con le sue opere.

Dopo essere stato Rumore Bianco, emersione cosciente di colore in simbiosi con altro.

Prima o dopo monocromo de La Gloria, oltrepassando, strato dopo strato, per colori disvelati, velati e salvati fino a essere uno.

Il passaggio davanti e dentro le opere di Daniele Di Luca è rito dove parola e materia vengono plasmandosi in una realtà essenziale, “distratta” in apparenza solo per alcuni dettagli, nel senso profondo di “distrarre”: volgere nuovamente occhi, respiro, pensiero e superiore attenzione al contenuto.

Tutte queste attenzioni comportano il tempo in cui siamo - per l’artista che costruisce come per chi visita i suoi lavori - complesso di energie che necessita di una fame placata.

Ecco allora La mensa della mosca, il tesseratto della quarta dimensione, la sua croce ipercubica rovesciata a testimoniare che noi umanità abbiamo appetito, aspiriamo a nuova energia per comprendere. Con dolcezza, con lo zucchero depositato sul legno, in terra, per insetti che hanno specie di coscienza diverse dalla nostra. E la stessa esigenza: volare, volare il più alto possibile, vedere con maggiore chiarezza.

C’è un nuovo fare gentile - “fare”, “poesia” - nell’arte di Daniele, dopo la rabbia, la rivolta prima figurativa poi astratta degli anni passati, meglio, oltrepassati in qualità di soste necessarie, in vista dell’approdo.

Conquista mai facile, lettura ogni volta più complessa nella semplicità che appare.

Pendolo inverso, alla volta di qualsiasi cielo come foglie che celano un fiore che sboccia.

Come foglie e fiori a sostegno e sorgenti dalla Linea passiva, che si specchia, rispecchia e riflette ogni presenza, la presenza.

È una volontà che si fa forte della sua assenza, per dare spazio a quella “Gioia del Tutto” di severiniana memoria. Trovando riscontro in Custodire il vuoto: quadro disposto ad accogliere ogni luce, alieno nell’aspetto ma concretamente terreno nella sua rinuncia a ogni privazione.

Perché siamo ai Termini della terra.

Ci sarà abbandono. Tuttavia non l’abbandoneremo. Daremo inizio a un nuovo discorso privo di rifiuti, pronto a ospitare la cura del nostro essere qui e ora.

NESSUNA FORMA NESSUNA SOSTANZA: pagina aperta sugli orizzonti che siamo, sull’orizzonte che è in noi.

Luca Traini,
Maggio 2024

[Insegnante di Storia e Filosofia, scrittore e curatore d’arte. Co-fondatore di Neoludica GameArtGallery]

 

QUI E ADESSO IN FORMA E SOSTANZA

Entrare nello spazio sacro dell’allestimento, nella chiesa sconsacrata di San Giovanni, è un’esperienza immersiva, totalizzante, che va oltre la semplice mostra, perché tutto il lavoro di installazione presentato da Daniele Di Luca verte su una riflessione dell’essere, dell’esistere e del prendersi cura dell’altro.

Le opere che trasformano l’ambiente senza intaccarlo ma velando di segni e significati, con un lavoro in loco dello scultore durato due settimane, nascono per sottrazione, capaci di far andare oltre l’apparenza per scivolare nella filosofia dell’autore e anche nello spirito archetipale. Sono testimonianza degli accadimenti del mondo, connessi al di là di ogni presupposto di pensiero ma collegati ad esso nel disvelamento dell’essere.

Il suo percorso artistico-evolutivo ha origine nella forma e nella scultura plastica, si trasforma poi insieme alla pittura e al segno, giunge a un ritmo nuovo, disteso, meditativo e sempre ricco di presupposti esistenziali.

C’è un moto nella composizione delle forme, anche dove sembrano essere annullate, un moto che è animo-colore-luce-materia. Si crea un percorso dentro lo spazio, una ricerca di finito per arrivare al senso, per poter sostare davanti alla creazione. L’opera è un ‘ciò che sarebbe stato comunque, irreversibilmente’, nell’ottone come nel legno di castagno e nella pittura ad acrilico. Qui, adesso.

Ogni sosta si veste di meditazione, nel rapporto corpo a corpo tra percepire dei sensi dell’osservatore e apparire del di-segno di ogni singolo pezzo. Ogni parte dell’installazione ha la coerenza di un cosmo, è tutto e uno nella diversità connessa.


Debora Ferrari,
Maggio 2024

[Art director e curatrice di mostre, progettista marketing culturale; editrice della librografica d’arte Musea_TraRari TIPI]